Quei 70.- fr. che hanno diviso destra e sinistra

 

 

 

 

 

 


 

La riforma “Previdenza 2020”, per essere approvata, richiede  due SI: uno relativo alla modifica della Costituzione necessaria per poter aumentare l’IVA dello 0,3% a partire dal 2021, l’altro relativo a un pacchetto di riforme legislative contro il quale è stato promosso un referendum. Se dovesse cadere la votazione costituzionale obbligatoria, che richiede anche la maggioranza dei Cantoni, cadrebbe tutta la riforma indipendentemente dal risultato del referendum.

La riforma, molto complessa, cerca di dare una prima risposta globale alle conseguenze  dell’invecchiamento demografico per il nostro sistema pensionistico  dopo i fallimenti dei progetti di revisione dell’avs del 2004 e del 2011 e dopo le revisioni della lpp del 2004-2006. Per la prima volta infatti  vengono affrontate contemporaneamente  sia la legge sul primo pilatro (avs), sia la legge sul secondo pilastro (lpp). Una impostazione, quella di affrontare assieme i due pilastri, condivisa da molti.

Quello che, al di là della complessità,  ha  invece diviso la destra dalla sinistra e dal centro è stato soprattutto il peso da attribuire ora e, in prospettiva nel futuro, al primo rispettivamente al secondo pilastro. Tutti d’accordo, considerati gli attuali bassi rendimenti degli investimenti finanziari, anche sulla necessità di ridurre il tasso di conversione (moltiplicato per il capitale accumulato è uguale alla pensione mensile)  dal 6,8% attuale al 6,0 %, restava da decidere come compensare questa perdita di reddito del 12% per mantenere il totale della pensione a un importo tale da “ rendere possibile l’adeguata continuazione del tenore di vita abituale” (art. 113 Cost. Fed.). La destra chiedeva di farlo aumentando il capitale della LPP grazie a un maggior prelievo, la sinistra di compensare la nuova discesa del tasso di conversione (già  ridotto nel 2004) con un aumento della rendita avs per i futuri pensionati di 70.- fr. al mese. Sembrerebbe una questione di scarsa importanza con importi per ora relativamente ridotti, ma in realtà questo confronto va ben  oltre l’aspetto immediato.

Si tratta della scelta tra due strade profondamente diverse politicamente e socialmente, con conseguenze pesanti per il futuro del nostro sistema pensionistico e, in un certo senso, di tutto il nostro Stato sociale. Due opzioni entrambe legittime, entrambe rispettose dello Stato di diritto e delle regole democratiche, ma che rispondono a due visioni opposte di valori fondamentali della nostra società. Il lungo e combattutissimo iter parlamentare della riforma e l’approvazione da parte del Nazionale con il  minimo di voti necessari la dicono lunga al riguardo. Peccato che una parte minoritaria della sinistra, ma che può diventare determinante per il risultato finale, sostenga il No, sperando in questo modo di favorire in futuro il rafforzamento dell’avs. Sperando di essere lei, domani, a dettare le regole del gioco, si allea oggi a quella destra che pur la sovrasta numericamente in modo schiacciante e che tenta di indebolire l’avs fin da quando è stato introdotto il secondo pilastro nel 1982.

Per capire quanto siano diverse le due strade e dove possono portare occorre analizzare la diversa impostazione del primo e del secondo pilatro della nostra previdenza professionale (il terzo è del medesimo tipo del secondo, ma è facoltativo). Il primo pilatro, l’avs, è il risultato di un miracolo politico maturato nell’immediato secondo dopoguerra, quando il clima di fratellanza instauratosi dopo una guerra che aveva fatto 60 milioni di morti e dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, favorì lo sviluppo dello Stato sociale e dei diritti. Un processo, quello dei diritti, ancora in corso, mai concluso, sempre minacciato, ma anche alla base di valori radicati nelle nostre società.
L’avs è certamente una aspetto luminoso dei nostri diritti sociali anche se oggi la destra cerca di denigrarla descrivendola come un meccanismo di distribuzione “a pioggia” di risorse pubbliche perché la ricevono tutti indipendentemente dal reddito e dalla sostanza di cui dispone il beneficiario. In realtà chi la riceve pur non avendone bisogno non solo è una piccola minoranza, ma è anche quella minoranza che, avendo pagato molto di più di quello che riceverà da pensionato, contribuisce in modo determinante al suo finanziamento. In questo senso l’avs, a differenza delle imposte, è il più semplice, trasparente, razionale esempio di ridistribuzione del reddito, perché  la ridistribuzione avviene direttamente dal più benestante al meno fortunato, praticamente a costo zero, e senza tutti quei meccanismi complessi, in parte opachi, dai quali necessariamente passa l’utilizzo delle risorse dello Stato. La si potrebbe definire un “Robin Hood” che opera con modi legali grazie al voto popolare del 1946.
L’avs è quindi un tassello fondamentale della nostra socialità che contribuisce praticamente a costo zero a svolgere uno dei compiti che anche molti liberali attribuiscono allo Stato, quello di correggere gli effetti che i meccanismi di mercato producono nella distribuzione del reddito. Dall’altra parte vi sono coloro che legittimamente ritengono che ogni individuo ha il dovere di procurarsi con lo studio, il lavoro, l’acquisizione di competenze il reddito necessario per i suoi bisogni e di assicurarsi per quando non potrà più disporre di quel reddito per vecchiaia, malattia, disoccupazione o invalidità. Una assicurazione costosa e anche rischiosa basata sulla mutualità dove, per esempio, chi muore prima paga per chi vive più a lungo, ma dove non c’è solidarietà. Come avviene appunto con il meccanismo della cassa pensioni, che, tra l’altro, è obbligatoria solo per i salariati al disopra di un determinato reddito e lascia scoperta la parte più debole della popolazione (soprattutto donne). Argomentazioni, quelle della destra, che affondano le radici nei principi calvinisti che hanno favorito lo sviluppo del capitalismo, ma che oggi devono confrontarsi con la finanziarizzazione dell’economia caratterizzata da avidità di guadagno a ogni costo, da nuove forme di speculazione fine a sé stessa che si spingono fino a sfiorare o toccare l’illegalità, dall’evasione e dall’elusione di imposta. Un mondo dove una parte importante del profitto non è più il “segnale della grazia divina” di Max Weber in quanto risultato di “un lavoro razionale, rigoroso e severo” e dove il profitto non viene reinvestito in attività produttive, ma in nuove speculazioni.
Oggi, di fronte alle  disuguaglianze che questa economia dominata dalla finanza continua ad ampliare, alla precarietà e alla povertà crescenti, una redistribuzione diretta  del reddito operata dalla mano pubblica appare sempre più necessaria almeno come primo rimedio. L’avs in questo particolare momento storico non solo va difesa, ma va rafforzata.con un SI convinto. Anche se, purtroppo, assieme viene servito un boccone amaro, quello dell’innalzamento di un anno dell’età di pensionamento delle donne. Gli articoli costituzionali e i mezzi per rafforzare l’avs ci sono: basta avere la volontà politica di applicare gli uni e di utilizzare gli altri.

Pietro Martinelli, già Consigliere di Stato



 

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